domenica 9 novembre 2014

Noi e il Muro

La sconfitta storica della Deutsche Demokratische Republik (DDR), che avvenne a seguito della Mauergefallen ben 25 anni or sono, ancora oggi segna in profondità i soggetti più radicali che vorrebbero lottare contro la realtà capitalista.
I motivi di questa ferita che continua a non rimarginarsi, non cicatrizzandosi come dovrebbe e facendo riprendere il corpo nella sua interezza, sono diversi e riconducibili anche ai diversi campi in lotta.

Il primo accenno è al campo occidentale-capitalista, qui la questione è molto facile da trattare: Caduta del Muro, riunificazione annessione, crollo della DDR e conseguentemente dell'intero sistema sovietico sono elementi che per i liberali sono la prova provata che il comunismo ha fallito e non funziona, né oggi né mai. Mia personale opinione è che solo negli ultimi anni al grande pubblico si dia l'immagine di vittoria di un campo sull'altro e non solo di semplicistico fallimento del campo avverso per ragioni intrinseche, come invece sembra esser stato fino a qualche anno fa; insomma col passare del tempo i dominanti possono più agevolmente farsi riconoscere una vittoria agendo in particolar modo su quella fetta di cittadinanza europea che ad oggi si dichiara “de sinistra moderna, non anacronistica e sicuramente non comunista” o cose del genere per dichiararsi utili idioti del capitale, ben accetto da questa mandria se si presenta con abiti umani. Questo porta intere masse a guardare in maniera dogmatica a quegli eventi, senza nessuna riflessione critica sul modello che ha vinto la guerra e introiettando la stronzata dei costi della riunificazione incorporazione sopportati dalla Bundesrepublik Deutschland.


Altro rapido, rapidissimo, sguardo va ai compagni anarchici (intendo quelli a sinistra dei comunisti, non i reazionari al servizio del capitale): loro non possono in alcun modo valutare positivamente l'esperienza storica che si chiuse in quei giorni di Novembre di 25 anni fa per ragioni ideologiche in gran parte condivisibili dal sottoscritto: un sistema che, con diverse modalità, operava sui corpi e sull'individualità affinchè si piegassero alla “Ragion di Stato” della burocrazia non può essere salvato dalla condanna storica, figurarsi dal renderlo ancora oggi un esempio da seguire.

Questione più complessa diviene la riflessione nel campo comunista, è qui che la mancata e ritardata cicatrizzazione di quella ferita sta mostrando tutti i suoi limiti.
Per semplificare divido questo campo in due fazioni.
La cosa che accomuna le due fazioni è grossomodo la consapevolezza che il 9 Novembre 1989 il Capitalismo trionfa sull'URSS e sui movimenti operai, in particolare quelli dell'Europa Occidentale(ogni riferimento alla gestione italiana della transazione è puramente casuale), però ciò non significa che questa consapevolezza abbia risolto i problemi nel campo comunista o che abbia fornito un punto di ripartenza per continuare a lottare contro il Capitalismo perseguendo modelli societari e/o di lotta alternativi. Questo avviene per due modi di approcciarsi all'esperienza del “socialismo reale” opposti, ma che entrambi confluiscono nello stesso stallo: da un lato abbiamo gli apologeti dell'URSS, nonché della DDR, e del blocco orientale in genere che mai nella vita riusciranno a trovare un difetto ad un sistema che, per essere sconfitto in quella maniera qualche difetto doveva pur averlo, al netto della guerra per le risorse e della propaganda occidentale; dall'altro abbiamo compagni che, al contrario, troppo frettolosamente liquidano la storia del sovietismo come un grande e generale errore e mistificazione del comunismo. Nonostante io condivida di più una delle due visioni, reputo che la verità stia nel mezzo o meglio che la questione sia un tantinello più complessa; quello che io chiamo “Stato operaio degenerato” non può essere così trattato da ambo le parti e faccio una breve digressione: questo modo di analizzare la realtà(la storia, la società ecc.) in maniera dicotomica è tipico della società del dominio che, in base al punto di vista, divide in giusto/sbagliato, buoni/cattivi, bene/male i fenomeni sociali, non che sia errato arrivare a conclusioni dove la ragione si scinde dal torto e quindi individuare il bene e il male, ma è del tutto sbagliato iniziare le analisi da questa dicotomia; insomma i fenomeni vanno analizzati nella loro complessità e solo al termine di questa analisi si può giungere a conclusioni che, a loro volta, non devono essere comunque a prescindere giuste o sbagliate riguardo ad un fenomeno, e non è detto che si debba concludere un ragionamento con l'accetta. Tutto ciò per tentare di comunicare che se i comunisti di qualsiasi fazione vogliono avere ancora un ruolo attivo, in particolare nei paesi europei, dopo 25 anni dalla Caduta del Muro devono cominciare un serio lavoro di confronto sul passato per ricucire gli allontanamenti dalle varie fazioni (per quanto mi riguarda la ricucitura dovrebbe coinvolgere anche i compagni anarchici).

Insomma quello che proporrei a tutta la galassia comunista è l'inizio di un confronto su quell'esperienza terminata simbolicamente a Berlino, ognuno con le sue idee, per carità, ma ciascuno cercando di lasciare quelle posizioni oltranziste che continuano in gran parte a caratterizzare le divisioni ideologiche e politiche tra i comunisti, il tutto per tentare una pacificazione storica ed ideologica, altrimenti la tanto desiderata unità (tema caro in Italia) continuerà solo a farci svegliare sudati.

Smettere di guardare all'intero sistema dell'Europa orientale come un blocco monolitico senza differenze tra le varie realtà nazionali prima di tutto, bensì tornare a valutare caso per caso e scoprire che il “socialismo reale”, seppur operò con simili modalità, generò delle differenze tra i vari paesi e società orientali (ad esempio la DDR era industrialmente il fiore all'occhiello del blocco orientale che non era omogeneo già solo in questo aspetto), smettere in secondo luogo di pensare che tutto era perfetto ignorando la mancanza di libertà politica e pensando che solo il Capitalismo di Stato (o rigido dirigismo statale) debba essere ancora oggi l'unica alternativa, ma contemporaneamente smettere anche di guardare a quella storia buttando con l'acqua sporca la protezione socio-economica che assicurava quel modello sociale.
La questione è complessa e non posso io risolverla in un post e da solo.

In conclusione se questo nefasto anniversario può essere utile anche ai comunisti, che lo sia in questa direzione; una direzione da troppo tempo ignorata e talvolta ostacolata in nome delle proprie, personali e partitiche, convinzioni. Bisogna comprendere che un quarto di secolo è già un tempo sufficientemente lungo per essere rimasti inermi alla sconfitta.
Abbiamo perso, ma continueremo ad essere perdenti se non ci si rialzerà da quella sconfitta capendo i motivi e le responsabilità, nostre, che l'hanno prodotta e non si passerà per un confronto serio che metta una volta per tutte una pietra tombale, cioè un'analisi complessa finale che chiuda senza nostalgie e senza recriminazioni su ciò che concluse la Caduta del Muro di Berlino.