domenica 7 aprile 2013

Consapevolezze indispensabili per un superamento dell'infezione metafisica.

Materialismo scientifico e demolizione del pensiero filosofico debole.

Tratto da "Tensione" di Massimo Greco e Toni Corino -  Torino 1994
"La sola ragione di esistere di un essere è la sua esistenza, cioè di mantenere la sua struttura e quindi di mantenersi in vita, senza di che non ci sarebbe l’essere.
 Notate che le piante possono mantenersi in vita senza spostarsi, esse attingono il loro nutrimento direttamente dal suolo del luogo dove si trovano, e grazie all’energia solare esse trasformano questa materia inanimata che è nel suolo nella loro propria materia vivente.
Gli animali invece, quindi l’uomo che è un animale, non possono mantenersi in vita se non usando questa energia solare che è già stata trasformata e questo impone loro di spostarsi; essi sono obbligati ad agire all’interno di uno spazio, e per muoversi nello spazio è necessario un sistema nervoso che agirà e consentirà di agire nell’ambiente e sull’ambiente, e sempre per la stessa ragione: assicurare la sopravvivenza.
Se l’azione è efficace il risultato sarà una sensazione di piacere. Così un impulso spinge gli organismi viventi a conservare il loro equilibrio biologico, la loro struttura vivente a mantenersi in vita e questo impulso si esprime in quattro comportamenti di base: un comportamento di consumo, che è il più semplice ed assolve ai bisogni fondamentali (bere, mangiare, accoppiarsi), un comportamento di fuga, un comportamento di lotta ed un comportamento d’inibizione. L’evoluzione delle specie è conservatrice e nel cervello degli animali si riscontrano delle forme assolutamente primitive.(1)

Cervello "rettile"
 Esiste un primo cervello che Mac Lean ha chiamato il "cervello rettile", è quello dei rettili infatti e scatena i comportamenti di sopravvivenza immediata senza i quali l’animale non potrebbe sopravvivere: bere, mangiare il che gli permette di mantenere la sua struttura, accoppiarsi, il che gli permette la riproduzione. Poi, quando si passa ai mammiferi, un secondo cervello si aggiunge al primo e abitualmente lo si definisce sempre con Mac Lean il "cervello mammifero". È quello che nel corso dell’evoluzione si aggiunse al primo quando nel passaggio dal rettile al mammifero si configurò la necessità di proteggere e nutrire i figli sviluppando le facoltà di comunicare con gli individui della stessa specie.
È in questo cervello che nascono i sentimenti, di qui la definizione "cervello dell’affettività".
H. Labory propone di definirlo "il cervello della memoria": senza il ricordo di ciò che piacevole, spiacevole non è possibile essere felici, tristi, angosciati, non si può essere in collera o innamorati e si può affermare che un organismo vivente è "memoria che agisce".
E poi, un terzo cervello che si chiama "corteccia cerebrale" si aggiunge ai primi due; nell’uomo si è considerevolmente sviluppata, si chiama " corteccia associativa". Essa associa le vie nervose soggiacenti e che hanno conservato traccia delle esperienze passate; le associa inoltre in maniera diversa dal modo in cui sono state impressionate dall’ambiente al momento stesso dell’esperienza vissuta il che significa che potrà creare, realizzare un procedimento immaginario.

Nel cervello dell’uomo questi tre cervelli sovrapposti coesistono sempre, i nostri impulsi sono sempre quelli molto primitivi del "cervello rettile".
Tre sono i momenti chiave dell'evoluzione del cervello da rettile a mammifero: primo l'allattamento dovuto alla necessità di allattare, di avere cura dei figli, di occuparsene; secondo la capacità di comunicare tramite suoni per mantenere il contatto tra madre e figlio; terzo il gioco che facilita l'armonia del gruppo.

Questi tre piani del cervello dovranno funzionare insieme e affinché ciò succeda devono essere collegati da dei canali: uno possiamo chiamarlo il canale della ricompensa, l’altro della punizione; è questo secondo che sboccherà nella fuga e nella lotta. Un altro ancora è quello che finirà nell’inibizione all’agire. Per esempio, la carezza di una madre al suo bambino, la decorazione che lusingherà il narcisismo di un guerriero, gli applausi che sostengono il pezzo di bravura di un attore sono stimoli che determinano la secrezione di sostanze chimiche nel "canale della ricompensa" e provocheranno il piacere di colui che ne è l’oggetto.

Tornando alla memoria, Labory osserva come all’inizio dell’esistenza il cervello sia ancora "immaturo" per cui nei primi due, tre anni di vita l’esperienza che egli trarrà dall’ambiente che lo circonda sarà indelebile e costituirà una base per l’evoluzione del suo comportamento lungo il corso della sua esistenza.
Infine dobbiamo renderci conto che ciò che filtra nel nostro sistema nervoso dopo la nascita e, verosimilmente anche durante la vita intrauterina, gli stimoli che penetreranno nel nostro sistema nervoso provengono essenzialmente dagli altri e che noi non siamo che gli altri; quando noi moriremo sono gli altri che noi abbiamo interiorizzato nel nostro sistema nervoso che ci hanno costruito, che hanno costruito il nostro cervello, che lo hanno riempito, sono gli altri che moriranno.

Dei nostri tre cervelli i primi due funzionano in maniera inconscia e noi non sappiamo che cosa ci guidano a fare (impulsi, automatismi culturali), mentre il terzo cervello ci fornisce un linguaggio esplicativo che offre sempre una scusa, un alibi al funzionamento inconscio degli altri due.
Labory ritiene che si debba rappresentare l’inconscio come un mare profondo e ciò che noi chiamiamo "cosciente" come la schiuma che nasce, si frantuma, rinasce sulla cresta delle onde; è la parte più in superficie di questo oceano che viene frustata dal vento.
Si possono quindi distinguere quattro tipi principali di comportamento: un comportamento di consumo che assolve ai bisogni fondamentali; comportamento di gratificazione: quando si è sperimentata un’azione che genera piacere si cerca di ripeterla; un comportamento di reazione alla punizione sia con la fuga che la evita, sia con la lotta che annulla il soggetto dell’aggressione; infine un comportamento d’inibizione: non ci si muove più, si attende in tensione e si arriva all’angoscia che è l’impossibilità di dominare una situazione.
Quando si prende un topo e lo si chiude in una gabbia a due scompartimenti il cui spazio è cioè diviso da un tramezzo al centro del quale si trova una porta ed il pavimento della gabbia è percorso ad intermittenza dalla corrente elettrica, prima che la corrente elettrica venga immessa nella rete del pavimento, un segnale avvisa l’animale che si trova nella gabbia che quattro secondi dopo la corrente elettrica passerà. Ma in partenza non lo sa. Se ne accorge in fretta: all’inizio è inquieto, ma quasi subito si accorge che c’è una porta aperta e si trasferisce nello spazio contiguo. 

La stessa cosa si ripeterà pochi secondi dopo, ma l’animale comprenderà ugualmente molto in fretta che può evitare il castigo del piccolo shock elettrico alle zampe ripassando nello spazio della gabbia in cui si trovava prima.
Questo animale che subisce questa esperienza per una decina di minuti al giorno durante sette giorni consecutivi alla fine del settimo giorno sarà in condizioni normali di salute: il suo pelo è liscio, non ha ipertensione arteriosa.
Ha evitato la punizione tramite la fuga, è stato bene, ha mantenuto il suo equilibrio biologico.

Quello che è semplice per un topo in gabbia è praticamente impossibile per un uomo nel suo ambiente sociale in particolare perché certe necessità sono state create da quel tipo di vita sociale e questo fin dalla sua infanzia ed è raro che egli possa per appagare i suoi bisogni risolversi alla lotta quando la fuga non è efficace o non è possibile. Quando due individui hanno progetti diversi od uno stesso progetto ed entrano in competizione per realizzarlo ci sarà un vincitore e uno sconfitto si stabilisce un potere di un individuo sull’altro: la ricerca del potere in uno spazio che definiremo "il territorio" è la base fondamentale di tutti i comportamenti umani e questo nella completa incoscienza delle motivazioni.
NON esiste quindi l’"istinto della proprietà" come neppure l’"istinto del dominio". (2)
Esiste invece per il sistema nervoso di un individuo la necessità di conservare a propria disposizione un oggetto (cosa, essere) che è altresì desiderato, invidiato da un altro essere; ed egli lo sa perché lo ha imparato che in questa competizione se vorrà conservare l’essere o la cosa a sua disposizione dovrà dominare.

Abbiamo già detto che noi non siamo che gli altri.(3)
Un bambino selvaggio abbandonato lontano dai suoi simili non diventerà mai un uomo non saprà mai camminare né parlare, si comporterà come una bestiolina.
Grazie al linguaggio, la nostra specie ha potuto trasmettere di generazione in generazione tutta l’esperienza che si è creata nel corso di milioni di anni.
L’ essere umano non può assicurarsi la sua sola sopravvivenza, ha bisogno degli altri per vivere, non sa fare tutto, non è onnisciente. Dalla più tenera età la sopravvivenza del gruppo è legata all’apprendimento da parte del piccolo dell’uomo di quanto è necessario per sopravvivere nella società: gli si insegna a non defecare nelle mutandine, a minzionare nel pitale, e poi, molto rapidamente gli si insegna come deve comportarsi perché la coesione del gruppo possa esistere; gli si insegna ciò che è, bene, male, giusto, sbagliato, bello e brutto. Gli si dice quello che deve fare e lo si punisce o lo si ricompensa a prescindere dalla sua ricerca personale del piacere;lo si punisce o lo si ricompensa in misura di quanto la sua azione è funzionale alla sopravvivenza del gruppo.
Il funzionamento del nostro sistema nervoso comincia appena ad essere capito, solo da circa quarant’anni siamo pervenuti a capire come a partire dalle molecole chimiche che lo costituiscono e che ne formano la base si formano le vie nervose che saranno codificate, impregnate dal tirocinio culturale e tutto ciò in un meccanismo le cui dinamiche sfuggono alla coscienza, alla volontà ed al libero arbitrio.
Ciò nondimeno le nostre pulsioni ed i nostri automatismi culturali saranno mascherati da un linguaggio, da un discorso logico.
Il linguaggio in questo modo non contribuisce altro che a nascondere la causa dei predomini, dei meccanismi attraverso i quali questi predomini si creano, affermano, perpetrano e a illudere l’individuo e gli individui ad essi sottomessi che operando per il nucleo sociale perseguono il loro piacere, mentre invece mantengono delle situazioni gerarchiche celate sotto le mentite spoglie dei significanti degli alibi forniti dal linguaggio.
In un’altra situazione, la porta che comunica tra i due scomparti è chiusa, il topo non può fuggire sarà quindi sottoposto all’ineludibile punizione che provocherà in lui un comportamento di inibizione: egli apprende che ogni azione è inefficace e che non può né fuggire né lottare: si inibisce.

È questa inibizione, che nell’uomo si accompagna con quella che designiamo "angoscia".
L’inibizione provoca altresì nel suo organismo delle profonde perturbazioni biologiche, omeostatiche cosicchè se egli viene a contatto con un microrganismo patogeno oppure ne era stato fino a quel momento portatore sano, mentre in una situazione normale il sistema immunitario attivandosi lo avrebbe neutralizzato, in questo caso, non reagendo, ne viene infettato.

Nel caso di una cellula cancerogena che egli avrebbe distrutto si avrà un’evoluzione neoplastica, inoltre le alterazioni biologiche determineranno tutte quelle che noi definiamo "malattie psicosomatiche": ulcere gastrointestinali, ipertensione arteriosa, infarto, insonnia, emicrania, cefalea, anoressia, astenia, stress, malessere ecc.
In questa terza situazione il topo non può fuggire, subirà quindi tutte le punizioni; ma si troverà di fronte un altro topo che gli servirà da avversario e in questo caso accetterà la lotta che se da un lato è completamente inefficace per evitare la punizione gli consente di agire: un sistema nervoso non serve che ad agire.
Questo topo non avrà nessun disturbo patologico simile a quelli riscontrati nei casi precedenti; avrà mantenuto il suo equilibrio biologico nonostante abbia subito tutte le punizioni.
Ciò che è possibile per un topo è praticamente impossibile per un uomo perché le leggi sociali dominanti proibiscono questa violenza difensiva.
L’operaio, che subisce ogni giorno stimoli violenti, non può aggredire il suo capo reparto, né il socio azionista di maggioranza, né il presidente del consiglio d’amministrazione perché interverrebbe la polizia; non può fuggire perché sarebbe la disoccupazione per lui, il lastrico per la sua famiglia.
È così, subendo lo stillicidio tutte le ore del giorno, tutti i giorni lavorativi della settimana, tutte le settimane del mese, tutti i mesi dell'anno, per tutti gli anni migliori della sua esistenza... egli è inibito all’azione.
L’uomo ha molti modi per lottare contro questa "inibizione ad agire". Può farlo attraverso l’aggressività.
 L'aggressività non è mai gradita, è sempre in risposta ad una inibizione ad agire; si raggiunge un’esplosione aggressiva che raramente sortisce vantaggi ma che sul piano del funzionamento del sistema nervoso è perfettamente spiegabile.
In qualunque situazione nella quale un individuo può venirsi a trovare di inibizione nella sua azione, le alterazioni biologiche che le accompagnano scateneranno sia l’insorgenza di malattie infettive o un quadro sintomatologico psichiatrico (nevrosi, psicosi).
Quando l’aggressività non può più rivolgersi contro gli altri o sugli altri può ancora implodere sull’individuo stesso in due modi: si ammalerà convoglierà ad es. tutta la sua aggressività sul suo stomaco nel quale farà un buco, un’ulcera gastrica; sul suo cuore e sulla sua circolazione provocandosi un’infarto miocardico, un’ipertensione arteriosa, un’emorragia cerebrale; sul suo tessuto epidermico, una dermatosi ( psoriasi, orticaria), o broncospasmi con crisi d’asma.
Il nostro soggetto potrà altresì orientare la sua aggressività contro se stesso in maniera ancor più efficace: può suicidarsi. Quando non si può essere aggressivi verso gli altri si può, con il gesto anticonservativo, essere aggressivi verso se stessi.
 L’inconscio, costituisce uno strumento temibile, non tanto per il suo contenuto represso troppo doloroso da liberare per le sanzioni che comporterebbe da parte della socio-cultura, ma per tutto quanto al contrario è autorizzato e persino incentivato dalla stessa cultura dominante sedimentata nel cervello sin dalla nascita(a) ma della quale il cervello non è cosciente" benché agente; sulla quale il cervello non può esercitare alcuna funzione di controllo.
Lo stesso atteggiamento di rifiuto nei confronti della socio-cultura dominante è soltanto apparentemente l’espressione di una scelta di campo avulsa dalle coordinate contestuali. In realtà, esso stesso in quanto "controtendenza" o tendenza "centrifuga" scaturisce da una più generale tendenza storicamente determinatasi e socialmente imposta.
Ogni società è prodotto della storia, ogni soggetto un prodotto della società: ogni individuo è figlio del suo tempo.
"Ciò che di un individuo chiamiamo "personalità" si costruisce su una cianfrusaglia di giudizi di valore, di pregiudizi, di luoghi comuni che egli si trascina dietro e che col fluire del tempo diventano sempre più rigidi e sempre meno oggetto di revisioni critiche. E, quando un solo mattone di questo edificio viene falsificato, tutto l’edificio crolla. Allora emerge l’angoscia. E, quest’angoscia non indietreggerà né di fronte al delitto per l’individuo né al genocidio o alla guerra per i gruppi sociali pur di esprimersi.
Cominciamo a capire in virtù di quali meccanismi, attraverso la storia e nel presente si sono configurate le scale gerarchiche e di potere. Per andare sulla Luna bisogna conoscere le leggi gravitazionali, ciò non significa però liberarsene ma che si utilizzano per fare qualcos’altro.
Fino a quando non si sarà diffuso estesamente tra gli organismi viventi della specie "homo sapiens, sapiens" il sistema di funzionamento del loro sistema nervoso centrale ed il modo nel quale essi lo utilizzano, riconoscendo che fino ad oggi ciò è avvenuto per dominare gli uni sugli altri ci sono poche possibilità che qualche cosa possa cambiare".

(H. Labory) Tratto dal film Mon oncle d’Amerique
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Note:

Georgij Plechanov

(l) Ne La concezione materialistica della storia e in La funzione della personalità nella storia, Plechanov analizza i rapporti di proprietà e li illustra alla luce della scientificità del determinismo:

"Il regime di proprietà dipende dal modo di produzione, poiché la ripartizione e il consumo delle ricchezze sono strettamente legate al modo di procurarsele. Tra i popoli primitivi di cacciatori, spesso si è obbligati a mettersi in molti per prendere la grossa selvaggina; così gli indigeni australiani cacciano il canguro in bande di parecchie decine di individui; gli esquimesi riuniscono tutta una flottiglia di canotti per la pesca della balena. I canguri catturati e le balene portate a riva sono considerate proprietà comune; ciascuno ne mangia secondo il suo appetito [....]. All'interno delle proprietà comuni certi oggetti servono unicamente all'individuo: i suoi vestiti, le sue armi, sono considerate proprietà individuale così come la tenda (la casa) e il mobilio sono proprietà della famiglia. Ugualmente, il canotto che serve a gruppi composti di cinque o sei uomini, appartiene in comune a queste persone.

Quello che decide della proprietà è il modo di lavoro, il modo di produzione.

Plechanov ne ricava quindi anche delle conclusioni antropologiche:

"Ho intagliato un'ascia di selce con le mie mani, essa mi appartiene. Con mia moglie e i miei figli, abbiamo costruito la casa che dunque appartiene alla mia famiglia. Con la gente della comunità sono andato a caccia e gli animali abbattuti ci appartengono in comune. Gli animali che ho ucciso da solo sul territorio della comunità, sono miei, e se per caso l'animale ferito da me viene ferito da un altro, appartiene a tutti e due e la pelle va a chi gli ha dato il colpo di grazia. A questo fine ogni freccia porta il marchio del suo proprietario.

Fatto davvero notevole:

presso i pellerossa d'America del nord, prima dell'introduzione delle armi da fuoco, la caccia al bisonte era regolamentata in modo assai rigoroso: se parecchie frecce erano penetrate nel corpo del bisonte, la loro reciproca posizione decideva a chi apparteneva questa o quella parte dell'animale abbattuto; la pelle apparteneva così a colui la cui freccia era penetrata più vicina al cuore. Ma dopo l'introduzione delle armi da fuoco, dato che le pallottole non portavano segni distintivi, la ripartizione del bisonte si faceva secondo parti uguali; esso era dunque considerato proprietà comune.

Con l'invasione della cultura cattolica tale processo evolutivo fu interrotto e soppresso.
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(2): Sempre su: l'"istinto di proprietà" e "l'istinto del dominio".

La pretesa scientificità della necessità borghese viene ancora travolta da una ulteriore dimostrazione riservataci dall'antropologia.

Una popolazione [ nei pressi di Palawan - Filippine] sopravvissuta e scampata allo sterminio cattolico e cristiano, sopravvissuta e scampata all'annientamento dello "sviluppo" borghese è quella dei TAU'T BATO:

Veri e propri antenati dell'uomo da noi conosciuto; una comunità sopravvissuta all'estinzione-indotta che rappresenta un vero e proprio pezzo di archeologia umana.

Dalla documentazione [documentario realizzato dal Centro Studi e Ricerche Ligabue - Venezia], che le scuole e le università si guardano bene dal proporre in modo diffuso per via di certe implicazioni, emerge non solo l'importanza di una prova sulle tappe evolutive della specie, ma, soprattutto, la negazione della proprietà privata e del dominio come fatto "innato" o necessitato. "I Tau't Bato" non conoscono cosa sia la guerra e la famiglia, non per ragioni oscure, ma, perché non conoscono neppure la proprietà privata. I mezzi di sussistenza e gli attrezzi appartengono alla comunità, così come la promiscuità sessuale è vissuta come un fatto armonico ed organico alla comunità.
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(3): L'influenza e le infinite forme di interferenza della cultura dominante "sin dalla nascita" vanno intese tenendo conto, ovviamente, dell'habitat in cui agiscono.

È chiaro che se un bambino di New York, con i genitori che lavorano a Wall Street, dovesse essere allevato da un branco di scimmie... egli camminerebbe a quattro zampe e probabilmente ne acquisirebbe anche il linguaggio. Va quindi sfatata ogni ipotesi avulsa da ciò che è il condizionamento ed il determinismo progressivo che si attua attraverso un habitat.

Viceversa un bambino aborigeno allevato in tempo-utile da un'altra famiglia, e quindi da un habitat di una società altamente sviluppata, ne acquisisce tutti i condizionamenti classici di quella cultura dominante che condiziona tutti fin dalla nascita.

Questo è sufficiente ad inficiare quelle posizioni falsamente scientifiche che eludendo il determinismo materialistico, l'importanza-centralità dell'ambiente, appropriandosi di riferimenti alla genetica, giungono a postulare astrazioni sulla superiorità o inferiorità di una razza per sbragare definitivamente in finalismi o pretesti di carattere metafisico o razzistico.}






1 commenti:

  1. il determinismo materialistico non ha nulla a che vedere con marx ed engels. il determinismo è in contrasto con le leggi del materialismo dialettico (locuzione coniata da Lenin).
    il determinismo stabilisce che in natura esiste una concatenazione irrevocabile di cause e effetti, per un’incrollabile necessità.

    "Secondo tale concezione – dice engels a proposito del determinismo – nella natura impera solo la semplice necessità diretta". In tal modo, "il determinismo, trasferitosi dal materialismo francese nelle scienze, cerca di farla finita con la casualità, negandola in linea generale" (MEOC, Dialettica della natura, vol. XXV, p. 502.

    In questa concezione del mondo (che come dice sempre Engels, negando a parole e in generale il caso, lo riconosce nella pratica in ogni singolo avvenimento) essendo ogni avvenimento futuro già determinato in tutto, l’uomo perde ogni libertà.

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