sabato 23 marzo 2013

La crisi non esiste: la sindrome di Tantalo

Di cosa si parla quando si utilizza la parola crisi nella nostra epoca? Una mancanza di materie prime? Una scarsità di lavoratori in grado di mantenere il sistema economico dovuta magari ad un’epidemia? L’impossibilità del sistema produttivo di soddisfare tutta la popolazione?

Tutto ciò può essere facilmente smentito dalla prova dei fatti. Le materie prime, almeno per adesso, non scarseggiano, anche se continuando a produrre in questo modo alla fine anche questo tenderà ad esser un problema, per il livello produttivo attuale(esempio: non manca il ferro per produrre un maggior numero di automobili rispetto al volume attuale), l’offerta di lavoro(cioè il numero dei possibili lavoratori) risulta superiore rispetto alla domanda,  prova ne è l’alto tasso di disoccupazione nel mondo (6,1%, dato che sembra effettivamente non altissimo, ma che in realtà sottostima il problema, visto che per esempio, non viene considerato disoccupato chi ha lavorato anche solo un'ora a settimana, o chi ha rinunciato a cercare lavoro, o chi non ha ancora mai lavorato), la produzione di alimenti o di qualsiasi altro prodotto è superiore al consumo effettivo, ne sono la prova i tanti prodotti deperibili che vengono gettati nelle discariche o rimangono fermi in magazzino perché nessuno può comprarli. Ed è questo il punto. Il nostro sistema produttivo può produrre una quantità di prodotti superiore a quella che effettivamente la popolazione può comprare.

Nell’era pre-industriale, il sistema produttivo non poteva soddisfare tutti o poteva farlo mantenendo veramente basso il tenore di vita della maggioranza della popolazione, visto che i generi alimentari e gli altri prodotti, come per esempio l’abbigliamento, avevano un costo di produzione molto alto ed una resa in termini di quantità inferiore a quella che effettivamente serviva, oltre a tempi di gestazione molto più lunghi della nostra epoca. Senza considerare poi i fattori esterni, come epidemie che in molti casi determinavano una diminuzione sostanziale della forza – lavoro, o le carestie, magari dovute ad un cambiamento climatico,(come la piccola età glaciale medievale) che diminuivano la produzione di generi alimentari. In problema era quindi una sottoproduzione rispetto alla domanda di beni e servizi.

Ma questo non è certo riconducibile alla nostra epoca. Nei supermercati ci sono i prodotti alimentari, i vestiti ci sono, cosi come tutti gli altri prodotti che conosciamo, semplicemente non possiamo prenderli, perché non abbiamo la disponibilità economica per comprare e consumare. La nostra è quindi una crisi di sovrapproduzione, non di sottoproduzione. Produciamo più di quanto effettivamente la popolazione può acquistare. Ma in realtà i prodotti ci sono, sono li, davanti a noi materialmente. Siamo come dei moderni Tantalo, figura delle leggende dell’Antica Grecia, che gettato nell'Ade, fu punito per aver offeso gli Dei. Non poteva né cibarsi né bere, nonostante fosse circondato da cibo e acqua. Noi abbiamo tutto ciò che ci serve, li a portata di mano, davanti a noi, ma per un qualche strano motivo non possiamo prenderlo.

Non a caso, il vero problema delle imprese oggi, oltre ad abbassare i costi del lavoro, è il vendere i prodotti.

Ma per quale motivo nonostante ci sia disponibilità di prodotti, si determina un abbassamento del tenore di vita della popolazione ed anzi un suo depauperamento? Perché le eccedenze non vengono regalate o donate alla collettività se comunque non vengono comprate da nessuno?

La ricerca del profitto è la risposta. Dopo la fase iniziale di boom di un mercato, che è l’epoca d’oro del sistema capitalistico, visto che si realizzano profitti altissimi, l’entrata di un’agguerrita ed ampia concorrenza nel settore ingolosita dagli alti profitti realizzabili, la saturazione dei consumi(se tutti hanno un tablet, per esempio, nessuno comprerà ulteriori tablet)ed anche(nel caso si operi in un paese in via di sviluppo)l’aumento del salario dei lavoratori, dovuto ad una crescita del sistema economico, determinano una diminuzione dei profitti.

Per questo motivo le imprese cercano in tutti i modi di tagliare i concorrenti(es. fusioni), riuscendo cosi ad avere un maggiore potere contrattuale all’interno del mercato(come per esempio stabilire un prezzo superiore ai propri concorrenti), di creare sempre nuovi bisogni nei consumatori(es. marketing – il nuovo tablet, più potente e veloce del precedente), di abbassare le spese, diminuendo il numero dei lavoratori, spingendo quelli che rimangono a produrre di più, o diminuendo il loro salario.

Il primo aspetto non è di certo auspicabile, visto che può generare monopoli di settore, conseguenza non desiderabile non solo dal punto di vista etico e sociale, ma anche dal punto di vista dell’efficienza del sistema economico(sia in termini di volume della produzione, sia in termine di innovazione, sia in termini di costi), ed è infatti notevolmente osteggiata in gran parte dei paesi. Il secondo alla lunga è irrealizzabile. Nonostante tutte le campagne di marketing non si riesce alla lunga a creare nuovi bisogni dal nulla (bisognerebbe essere in grado di rinnovare completamente il prodotto ogni anno, ma va da sé, esempio è il caso dell’i-pad 3 della Apple, che questo è praticamente impossibile). Si capisce, quindi, come il terzo punto sia uno dei modi più semplici ed efficaci per aumentare il margine di profitto, cioè intaccando il salario dei lavoratori dipendenti, tagliando posti di lavoro(ed automatizzando magari determinati compiti) o diminuendo le retribuzioni. Ma questo chiaramente intacca il potere d’acquisto della popolazione con una sicura contrazione dei consumi. Una macchina o un computer non possono consumare, ne tantomeno comprare, ma possono solo produrre!!

Chiaramente i prodotti in eccedenza non possono essere donati alla collettività dal privato. Il sistema genera profitto solo se il bene o servizio venduto è un bene escludibile(ci sono delle barriere per il suo consumo, come il prezzo). Se potessimo avere un bene gratis di certo non lo compreremo a nessun prezzo.

Per questo da tanti anni vediamo moltissime aziende che internazionalizzano, o la produzione, in paesi dove il costo del lavoro è più basso, o la vendita, in paesi dove vi è un mercato più ricco o maggiormente incontaminato(assenza concorrenti, consumo non saturato). E’ questa la risposta del sistema economico alla crisi, la globalizzazione. Chi si adegua riesce a rimanere in piedi, mentre gli altri sono destinati ad un lento declino. E prendendo ad esempio l’Italia, la presenza di tante piccole e medie aziende, che non hanno la possibilità di internazionalizzare la loro produzione o la loro rete di vendita come invece può fare una grande azienda(o comunque se possono, la loro azione ha un impatto minore)determina il loro fallimento(non è comunque l’unico motivo).

Ma se questo sistema effettivamente non è il più efficiente, né il più equo, perché mantenerlo in piedi? Non è ora di ridisegnare il nostro concetto di lavoro? Non è ora di basare il nostro sistema su: “lavorare poco per lavorare tutti, in modo da consumare abbastanza ma consumare tutti”? Perché dover vessare una parte della popolazione sfruttandola fino al midollo con turni di 8-9-10 ore al giorno, e farne sprofondare l’altra parte nella vergogna sociale perché non ha un lavoro che può farla sopravvivere, quando invece potrebbe benissimo lavorare?  Perché non dividere il lavoro e i compiti su tutta la popolazione, lavorando soltanto lo stretto necessario affinché tutti abbiano in base alle loro necessità?

Mi si dirà che questo è impossibile. Il profitto è ciò che “move il mondo e le altre stelle”, che è il motore grazie a cui c’è stata questa evoluzione del sistema, che ha portato ad un maggiore benessere e ricchezza. Ed infatti tutto questo è vero. Un sistema basato sul concetto “ognuno da in base alle sue capacità ed ottiene in base alle sue necessità” presuppone uno spirito di solidarietà collettivo che non è mai esistito o che è limitato a poche persone o gruppi.

Ma questo è una necessità non una possibilità. Il sistema cosi come lo conosciamo imploderà su se stesso, sia per l’azzeramento del saggio di profitto, che non potrà essere più il motore della nostra economia, sia perché le risorse disponibili non sono illimitate, sia perché la logica del profitto comporta scelte deleterie per la collettività, come la produzione di armi o l’inquinamento dell’aria e dell’acqua.

Avrei voluto continuare, facendo una piccola analisi della crisi del sistema finanziario e un breve finale sull'illusione della scomparsa della classe operaia. Ma ho deciso di fermarmi qui, vista la lunghezza dell’articolo. A breve spero di poter sviluppare anche queste tematiche.


Originariamente pubblicato su Nineteen Eighty-Four

2 commenti:

  1. Auspicherei una conversione dal "produrre tanto -> consumare tanto -> guadagnare tanto" al "produrre meglio -> consumare meno -> guadagnare il giusto".

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    1. Si ma chi lo stabilisce quanto è il "giusto"?? E' proprio il concetto di guadagno e profitto che ci porterà alla rovina.

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